Karate e forza di volontà: Cork 1996
progetto K.A.D.A. > Karate Tradizionale e patologie
“Dopo aver tradotto ho cercato, come faccio spesso, le parole per un commento, ma non sono riuscito a scrivere nulla. Ho provato, allora, a pensare ad un titolo idoneo per il post, ma non mi è venuto in mente niente. Però non ne sono né sorpreso né dispiaciuto.
Lascio, dunque, spazio alle parole di Sensei Kanazawa, alla sua emozione, alle sue lacrime. E forse un po' anche a quelle di tutti noi.
Buona lettura, ma, soprattutto, buona meditazione. (Ferdinando Laura)
"Nel 1996 visitai Cork, in Irlanda. Il leader del Dojo dove mi recai era Abie McCarthy. Mi disse che c’era un giovane ragazzo che desiderava ardentemente incontrarmi. Aveva dodici anni ed era accompagnato da una infermiera. Non aveva capelli a causa della chemioterapia cui era sottoposto a causa del cancro che lo affliggeva. Si chiamava Killian Hourahan. I dottori gli avevano detto che la sua leucemia era allo stadio terminale e gli restavano solo due mesi di vita. Amava il Karate ed era stato negli ultimi due anni un assiduo praticante. Era a conoscenza della sua condizione ed era pienamente consapevole del destino che lo attendeva. Mi disse che quando aveva sentito che stavo venendo a Cork, aveva voluto un ultimo bel ricordo per essere riuscito a parlare con me. Si era allenato forte per un’ora e mezza e aveva tenuto il passo di tutti i suoi compagni di Dojo.
Poggiai la mano sul suo corpo e per un periodo lungo liberai il mio “ki” su di lui e mentre la strofinavo pregavo che “buon sangue ed energia fluissero attraverso la mia mano nel suo corpo”. Mi guardava e sorridendo mi disse:”Mi allenerò e vivrò meglio che potrò nei due mesi che sono rimasti. Il Karate è il mio sostegno”.
Sei mesi più tardi quando tornai a Cork fui felicissimo di vederlo ancora vivo e che si allenava duro come aveva promesso. Ebbi un lontano barlume di speranza che forse c’era la possibilità che guarisse. Tutto quello che potevo fare era sperare. Lui continuò con il suo Karate ed ebbi la possibilità di graduarlo fino a cintura nera. Due anni dopo aver fatto la sua conoscenza, feci un altro viaggio a Cork. Questa volta lo trovai molto magro e dolorante. “Sensei, i dottori mi hanno detto che mi è rimasta soltanto una settimana di vita. Penso che questa sia veramente la fine. Non credo che avrò più la possibilità di vederla di nuovo, ma vorrei allenarmi con lei ancora una volta. Mi sento molto debole per cui per favore può scusarmi se farò tutto a metà del mio solito?”. Tutto quello che riuscii a fare fu trattenere a stento la mia crescente emozione ed annuire col capo. Usò ogni grammo dell’ energia del suo corpo e si gettò nella sessione di allenamento. Quando finimmo gli dissi:”Non devi temere la morte, perché hai vissuto ogni singolo momento che hai avuto in pieno, avrai il miglior posto in cielo”. Sembrò compiaciuto e mi rispose dicendo:”Sono veramente felice di aver potuto fare Karate fino alla fine. Sono davvero orgoglioso di me stesso”. Alla fine mi chiese se poteva farsi una foto con me. Sentii il calore del suo corpo premuto contro il mio braccio e affrontai la macchina fotografica in silenzio.
Quando tornai di nuovo in Irlanda, sei mesi dopo, era morto, esattamente una settimana dopo che lo avevo visto per l’ultima volta, come mi aveva preannunciato. Sapevo che questo sarebbe accaduto, ma non ci fu nulla che poté fermare le lacrime che scorrevano giù sul mio viso. L’unica cosa che pensavo era come, trascendendo questioni di vita o di morte, era andato incontro al suo destino coraggioso come nessuno mai.
Certe persone vivono lunghe vite, altri muoiono giovani. La sua vita durò soltanto quattordici anni ma il suo approccio a vivere in pieno ogni secondo commuoveva la gente e dava loro forza allo stesso tempo. Naturalmente io ero una di quelle persone".
(H. Kanazawa)